L’Open Source è Cultura? (Quella con la C maiuscola si intende…)

libro-macomerPrimo Principio ha avuto l’onore di tenere –  presso il Centro Servizi Culturali di Macomer (NU) –  un corso di formazione sul mondo del software open source e delle tecnologie a esso legate. L’esperienza è stata positiva ed estremamente interessante. Ci ha fatto scaturire alcune riflessioni in merito.
Nella società in cui viviamo – altamente informatizzata – il linguaggio informatico è cultura. Se la cultura è quella sfera ideale di significati che avvolge la vita quotidiana permettendoci di dare senso alle cose, interpretare ciò che succede, lavorare da soli o in gruppo, essere creativi e avere una propria soggettività, esprimere giudizi, avere una coscienza politica allora è chiaro che i linguaggi informatici fanno parte anch’essi di questa sfera.
Allo stesso tempo, il mondo del lavoro, della formazione e della conoscenza sta vivendo una trasformazione interessantissima in direzione di un modello a rete, collaborativo, in cui concetti come condivisione e la cooperazione stanno recuperando un importante ruolo tanto nei manuali di management quanto nelle teorie economiche. A questa spinta, ha senza dubbio contribuito l’energia del movimento open source che si è fatto promotore di un modello di lavoro alternativo a quello individualistico dominante: ha posto le basi valoriali e culturali di una profonda trasformazione sociale ed economica la cui portata è ancora difficile da delimitare e prevedere.
In che senso e in che termini l’open source fa parte a pieno titolo di quello che quotidianamente viene chiamato “cultura”? Abbiamo provato a rispondere a questi interessanti interrogativi insieme a Giancarlo Zoccheddu, direttore del Centro Servizi Culturali di Macomer UNLA che ha ideato l’iniziativa.
Giancarlo, com’è nata l’idea di organizzare un corso sulle tecnologie opensource source, quali obiettivi ti sei proposto?
E’ nato da una esigenza che ai miei occhi appare ovvia, ma che in realtà così ovvia per il contesto culturale italiano non è. Ragioniamo su due livelli. Il primo riguarda la natura di tutte le proposte laboratoriali del Centro e cioè le caratteristiche che richiedo quando immagino di poter organizzare dei percorsi formativi presso la nostra sede: innovazione, assunzione di competenze da parte dei partecipanti, coinvolgimento, apertura mentale e curiosità, continuità nel tempo (quest’ultimo legato ad una mia idea tignosa che le cose si realizzano per durare e lasciare qualche segno e non per soddisfare un desiderio momentaneo). E in questo il corso proposto rispondeva limpidamente e felicemente alle condizioni richieste. Il secondo livello, più ambizioso –  e che riguarda il mio ruolo di operare scelte culturali strategiche –  è quello che interessa il grosso e invadente problema che noi abbiamo con la nostra idea di sviluppo culturale. E’ inutile dichiarare che la Cultura è una priorità se non si comprende che come tutti i Settori deve essere in grado di evolversi e maturare e soprattutto deve esplorare territori nuovi e fecondi. Il mondo è più open source di quanto crediamo, ma in Italia un utente culturale medio lo ignora profondamente per causa di fattori storici, economici, ambientali e di comunicazione che sovrastano ogni spirito critico e maturo verso l’interpretazione del nostro contesto ora, nel 2014, e non del mondo di Michelangelo o di Leonardo o Dante. Evidentemente cito loro, polemicamente, perché sembra che ogni volta che si ragiona di percorsi culturali nuovi o innovativi – o anche solo un minimo decenti –  c’è un saggio timorato della Tradizione che si ferma e dice “Alt, siamo stati quella roba lì. Partiamo da lì. E’ il nostro petrolio!” Che è come stroncare qualsiasi proposta nuova e moderna. Mi chiedo sempre, ma se noi siamo stati quella cosa lì perché non possiamo reinventarci un futuro diverso con la sensibilità che abbiamo oggi? Perché non riformiamo per intero la nostra idea passatista di Cultura?
Se consideriamo “cultura” l’insieme di tutti i linguaggi e i codici che ci permettono l’interpretazione del mondo che viviamo quotidianamente allora i linguaggi informatici hanno una valenza culturale ogni giorno più importante, qual è il tuo punto di vista in merito?
Abbiamo un altro problema grosso con quello che in Italia si definisce scientifico, informatico da una parte e umanista dall’altro. Siamo molto indietro e in altre parti del mondo questa divisione vecchia e trita è stata abbondantemente elaborata. Le discipline si intersecano e si scambiano dinamiche, soluzioni e analisi. Siamo conservatori da questo punto di vista e riteniamo che il linguaggio del romanzo o della poesia (mi rendo conto che sono esempi generici ma è tanto per capirci) sono nutrimento per il cervello, lo spirito eccetera quello che non comprendiamo (il linguaggio scientifico in generale) invece non lo è. Ci sono delle complesse “architetture informatiche” che, in se, non hanno bisogno di dimostrare di avere un valore culturale. Lo hanno. Se ci intendiamo su cosa vuol dire per noi Cultura o cosa è importante, per esempio la complessità, la creatività, il coinvolgimento, l’innovazione eccetera allora chi può obiettare che quel genere di linguaggio non sia tutte queste cose?
UNLA è un ente per la lotta all’analfabetismo. Com’è la situazione secondo te sul piano dell’analfabetismo informatico? E quali rischi porta con sé?
A parte che la situazione è tragica sull’analfabetismo in generale. Le ultime ricerche indicano che i livelli di comprensione anche di un testo moderatamente complesso siano preoccupanti. Ancora peggio è il livello di comprensione nel settore informatico. Non voglio essere del tutto catastrofico, è vero che giocoforza essere immersi in un mondo organizzato su percorsi informatici e tecnologici a vario livello ti costringe, almeno un poco, ad istruirti su come gestire questo lato della tua vita. A meno che non si considerino rilevanti i numeri di quelli che hanno in odio la tecnologia, e non lo sono rilevanti, la maggior parte di noi avrà sempre più a che fare nella propria vita con immersioni intellettuali complete e in alcuni casi totalizzanti nel mondo informatico e tecnologico. Aiutare ad acquisire alcune competenze e alcuni ragionevoli strumenti mi pare il minimo. Ma proprio il minimo. Il punto vero è cercare di guardare avanti ed organizzare percorsi culturali che creino degli individui consapevoli, critici e dotati di una accentuata capacità di analisi rispetto alle questioni legate all’informatizzazione di ogni aspetto delle nostre scelte professionali o culturali. Ora non ci sembra ma in futuro questo aspetto sarà decisivo.

Da un punto di vista culturale le tecnologie informatiche ci fanno intravvedere delle opportunità di condivisione fantastiche e sino a poco tempo fa inimmaginabili, pensiamo alla possibilità di condivisione di contenuti e di libero accesso alla conoscenza: dal tuo punto di vista – di direttore di un centro – quali sono le opportunità concrete che vedi e quali invece gli ostacoli più difficili?
Sarò uno dei pochi che non rimpiange il passato, ma io non credo che da questo punto di vista, dal punto di vista dell’accesso, della condivisione, delle possibilità di crescita culturale, la storia dell’umanità abbia mai vissuto un periodo migliore di questo. C’è una tale forza e passione e distribuzioni di saperi in giro – da parte anche di chi lo fa perché è semplicemente uno spirito nobile e appassionato e che di solito non sappiamo neppure che faccia o nome o nazionalità abbia – che ci sarebbe veramente da entusiasmarsi. Anche in questo ragionamento individuo due livelli di analisi. Il primo punto è il concetto di libero accesso. E’ impensabile ritenere che questo debba essere limitato o addirittura ostacolato (vedi le polemiche sulla rete, il desiderio di controllo o censura che non è possibile affrontare in questa sede). Mi rendo conto che detto in questo modo può apparire semplicistico però preferisco che questo sia fondamentalmente il punto di partenza degli addetti ai lavori, delle istituzioni, delle comunità, della politica eccetera… Pensare il contrario è come immaginare di dover rimettere dentro il dentifricio una volta che è uscito dal tubetto. Poi da lì si parte per individuare eventuali criticità. Si tratta appunto del secondo livello. L’impegno nella educazione e consapevolezza degli utenti, dei cittadini, di chi usufruisce di oceaniche e imprevedibili corsie di accesso alle informazioni e ai contenuti. E’ chiaro che le criticità vanno individuate insieme a soggetti istruiti e coinvolti, non con decisioni calate dall’alto. C’è un problema con il diritto d’autore? C’è un problema rispetto a determinati usi dei contenuti? Il percorso di educazione culturale deve essere curato seguendo l’idea che la condivisione e il libero accesso sono scelte etiche fondamentali. C’è un’altra cosa che mi sta a cuore. La vedo nitidamente nella mia testa ma mi sembra difficile spiegarla per bene. Ci proverò in due parole. Il Centro Culturale di Macomer si sta rivelando uno splendido laboratorio di lavoro e innovazione. Quello che mi sembra decisivo però è proprio la trasformazione radicale del modello di Centro Culturale che è tipico di una certa tradizione assimilata ai luoghi della Cultura. E cioè una specie di Piramide. Un tizio in alto più o meno adeguato, simpatico, arrogante o incredibilmente fuori posto che attraverso il suo ruolo dirigenziale a cascata dice agli altri cosa fare (ancora una volta riduco all’osso per cercare di spiegarmi) con tutto quello che ne consegue. In Italia il leaderismo e il protagonismo sono un freno allo sviluppo in tutti i settori perché crea gruppi di adoratori e non di veri agenti di cambiamento. Il modello open source ha dimostrato, abbondantemente, che salvo rarissimi casi questo sistema non funziona, è perdente, poco creativo, inadatto. Se io prendo la definizione di Linux dal sito italiano come “primo rappresentante del software cosiddetto “libero” (“freesoftware”, in inglese), ovvero quel software che viene distribuito con una licenza che ne permette non solo l’utilizzo da parte di chiunque ed in qualsiasi circostanza ma anche la modifica, la copia e l’analisi” mi chiedo, “ma il Centro Unla di Macomer può diventare questa cosa? Può rappresentare questo concetto attraverso una rete estesa, solida ma in flessibile, potente ma in movimento e soprattutto non piramidale, che consenta a chi ci lavora, ai collaboratori, agli utenti, ai simpatizzanti eccetera la capacità di interagire, modificare, creare e rimettere in circolo proposte, progetti, idee?”. Siamo all’inizio, è vero, però io credo che sia il nostro obiettivo vero, dichiarato, e veramente, una volta per tutte, lucidamente rivoluzionario.
Le tecnologie open source possono essere interpretate come una risposta alla tendenza di delimitazione e privatizzazione economicista di un concetto collettivo per eccellenza che è la conoscenza (e la cultura). Quanto il mondo della cultura in questo senso può insegnare al mondo della tecnologia informatica e dell’economia? Le tecnologie open source hanno dimostrato proprio questo. Se il punto è la condivisione e la partecipazione collettiva al progresso come puoi considerare questo fenomeno come proprietà di qualcuno? Il significato profondo dal punto di vista culturale secondo me è straordinario e non del tutto ancora compreso. Una cosa è certa tutte le dottrine economiche in un momento storico o in un altro si sono rivelate inadeguate, superficiale e addirittura dannose. Il modello open source è sempre stato trascinante, democratico e soprattutto vincente. Il mondo è estremamente competitivo, e se siamo d’accordo su questo, allora vinca pure il migliore. L’open source è il modello migliore.

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